commento del Sac.Enrico Bianco a : "Quale chiesa domani?"

Pubblicato il da Iacolare Francesco Saverio


FRANCESCO SAVERIO IACOLARE,QUESTO “ECCLESIOLOGO SCOMODO”

Sac.don Enrico Bianco
Prete di campagna
chiesettadeipoveri@libero.it

Caro don Franco,
ti invio questa “orrenda chiacchiera”(Soren Kierkegaard).
Ti do pure carta bianca.
Taglia,cuci,modifica,correggi.O,se lo ritieni opportuno, getta  pure tutto il
mio scritto nel cestino.
Resto in attesa.
Complimenti per il più originale dei tuoi innumerevoli lavori.

                                                                                                     
Don Enrico

”Quale chiesa domani?”(AbbiAbbè,Anno XIII - N.6 - 15 aprile 2010,pp.22-23),
recita il titolo del saggio scritto,con incisivo acume, dall’amico impagabile e
dal filosofo impareggiabile,Professore F.S.Iacolare.
L’ho letto e riletto con attenzione.E confesso che, all’inizio, lo leggevo
servendomi delle lenti deformanti della supponenza,della diffidenza e della
critica a buon mercato.Poi, via via, ho compreso sempre di più che mi trovavo
dinanzi ad un vero e proprio gioello: un saggio di ecclesiologia caratterizzato
da una pregnanza,densità e spessore teologici davvero sconfinati.
Volendo,ora, tentare di dare una definizione paradossale della ecclesiologia
iacolariana,posso esprimermi così: una “ecclesiologia eterodossa” che si radica
profondamente nel solco della più genuina ed evangelica “ecclesiologia
ortodossa”.
Iacolare,questo Ecclesiologo tout-court dell’Anti-ecclesiologia.Il
“Demolitore  spietato” dell’Anti-ecclesiogia che si narcisizza e si pavoneggia
sul palcoscenico del potere e della ricchezza del mondo. 
Il Nostro tematizza varie problematiche scottanti che connotano la
quintessenza della Chiesa odierna.Tanto per esemplificare:la secolarizzazione,
il celibato,la chiesa curiale,il sacerdozio delle donne,la morte del
cristianesimo,la teologia,il “biblicidio”, e così via.
Possiamo dividere il saggio in due grandi parti.
In una prima parte(pag.22) viene descritta in maniera acribica una
“ecclesiologia intramondana”.
Nella seconda parte(pag.23),invece,con perspicacia e insieme originalità,una
“ecclesiologia sopramondana”.
Ed entriamo subito “in medias res”.Incominciamo ad esaminare l’”incipit” che ,
a ben vedere,intende essere una sintesi mirabile dell’intero messaggio
veicolato,il filo rosso che  salda strettamente l’intero saggio.
L’Autore esordisce così:“E’ necessario una presa di coscienza nella chiesa,
insieme al popolo di Dio,per continuare a credere che la storia della salvezza
continui ad essere per sempre l’inizio della Pasqua dell’umanità”.
Fin dall’inizio,l’Autore non indulge né ad un facile ottimismo né ad un
deludente pessimismo.Ma opta decisamente per un sano realismo evangelico.La
storia della salvezza operata dal Crocifisso Risorto non è avulsa dalla
partecipazione e coinvolgimento del suo partner che è l’uomo.Anzi l’uomo  è e
resta sempre il co-creatore di Dio.”La storia della salvezza è coestensiva e
coesistente con la storia del mondo”(K.Rahner)(1). E già qui è lapalissiana la
Weltanschauung iacolariana di una ecclesiogia che, in quanto tale, non può non
essere che un momento epifanico della antropologia.E’ il “Sitz im Leben” di
ogni saggia auto-comprensione antropologica.
Vale a dire che un’autentica ecclesiologia non può avere idiosincrasia nei
confronti dell’antropologia.Più chiaramente ancora, l’antropologia invera e
accerta l’ecclesiologia.
Diversamente la stessa “Teo-logia” viene mistificata,stigmatizzata e
ostracizzata a buon diritto dalla comunità dell’ingovernabile pluralismo
odierno delle scienze naturali esatte.
In altre parole,la ecclesiologia non può conservare il suo orizzonte teo-
logico senza avere a che fare con la sua dimensione antro-pologica.
Proprio per questa ineludibile posizione ontologica della ecclesiologia e al
fine di spazzare via ogni facile e comodo fraintendimento,il Nostro si affretta
ad argomentare così: “Noi crediamo in una chiesa fatta per l’uomo e non nell’
uomo fatto per la chiesa,così come il dettato evangelico del sabato fatto per l’
uomo e non l’uomo fatto per il sabato.Una chiesa così intesa è degna di fede,
diversamente non è la nostra chiesa”.
Giustissimo.Non si può non essere perfettamente d’accordo con l’Autore.E
ciononostante qualche barbassore potrebbe a buon mercato cogliere in questa
affermazione,avulsa dal contesto,una deriva pericolosa che indulga ad un
presuntuoso orizzontalismo e che quindi disconosca la ineludibile “riserva
escatologica”del Kerygma cristiano.Vale a dire una presuntuosa dittatura,una
inaccettabile “hybris”,una supremazia smodata dell’uomo nei confronti di Dio.
Invece bisogna sempre riconoscere la “infinita differenza qualitativa”(Soren
Kierkegaard) tra la creatura e il Creatore. Dio è, in tutto e per tutto,il
“Totalmente Altro”(K.Barth)(2).Diversamente per evitare Scilla di uno sterile
angelismo,cadiamo in Cariddi di un deludente terrenismo.La Chiesa di Dio viene
mondanizzata,ridotta ad un mero sociologismo.Assolutizzando un’aporetica
commistione tra l’”anthropos” e l’”Ekklesia”, si dimentica di aver dimenticato
che la Chiesa tout-court è e resta sempre un mistero insondabile e che quindi
non è catturabile in maniera adeguata dalle categorie di un’acribica
speculazione filosofica.In una siffatta situazione, la Chiesa del “Futuro
assoluto”(K.Rahner),a buon diritto, si sottrae sempre al conato prometeico di
stenderla sul letto procusteo del delirio di onnipotenza della ragione.Insomma,
per dirla in breve:la Chiesa è di Dio,”non è mai nostra”.
Dopo questa densa premessa,l’Autore continua:
“Non sappiamo che farcene di una chiesa che ha paura di scandalizzare pur di
testimoniare la verità.”Chi si scandalizzerà di me,mi scandalizzerò di lui”.Non
sappiamo che farcene di una chiesa che somministri sacramenti,scissi da
qualsiasi conversione interiore:questa è una chiesa che pratica magismo,non
aiuta alla crescita della fede”.
E’ una diagnosi inappuntabile,esaustiva, della “malattia mortale”(S.
Kierkegaard) della Chiesa.
E’ indubbio.Nella Chiesa è paurosamente assente lo ”skàndalon” evangelico,ma
imperversa,purtroppo,lo scandalo mondano.E di conseguenza necessitano
urgentemente i testimoni della fede.Rileva giustamente il Santo Padre Paolo
VI:
“Questa generazione non ha bisogno di evangelisti,ma di testimoni”.
A ben pensare,soltanto l’autentico testimone è capace di “scandalizzare”tutti,
ma di non “scandalizzarsi” di nessuno.
La carenza di testimoni,purtroppo, provoca inevitabilmente la perdita dell’
orizzonte valoriale e il sopravvento della fenomenologia dell’apparire sull’
essere.
L’”essere cristiani”(3) viene fagocitato,cannibalizzato dall’”apparire
cristiani”.E in questa maniera viene a buon mercato coniato il diabolico
apoftegma:valgo tanto quanto appaio.Appaio,dunque sono.Il contenente viene
idolatrato al posto del contenuto.L’avere viene sostituito all’essere.La
machera,al volto.Il fare,alla preghiera.E la chiesa diventa,così, il luogo
privilegiato –come osserva il Nostro- della “pratica del magismo”,dell’effimero,
della vanità.Parafrasando l’assioma famoso del Qohelet,possiamo dire:vanità,
vanità delle vanità,tutto è vanità nella chiesa.Ahinoi!
“…E potrei aggiungere che grande è la vanità nella Chiesa.Grande!Si mostra
negli abiti.Un tempo i cardinali avevano sei metri di coda di seta.Ma
continuamente la Chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili.Ha questa
tendenza alla vanteria”(Card.Carlo Maria Martini)(4).
Continua la implacabile requisitoria di Iacolare:
“Che ne facciamo di una chiesa che ha smarrito il senso messianico del suo
tempo?Non confondiamo il tempo messianico con il futuro,esso è l’eterno
presente nel quale irrompe il ‘tempo’ di Dio.Un tempo d’amore che cambia il
modo di sentire le ‘diversità’ e abita il cuore dell’uomo.Noi crediamo in
questa chiesa”.
E’ davvero stupefacente,geniale questa equazione formulata dall’Autore:il
“tempo messianico” = “eterno presente dell’amore”.
Con un deciso colpo di spugna, il Nostro spazza via ogni comodo e facile
alibi:
”Non è ancora il tempo”,”Occorre prudenza”,”Bisogna evitare confusione”,e così
via.
No,puntualizza il Nostro:”Non confondiamo il tempo messianico con il futuro”.
A questo proposito,osserva un prestigioso teologo:
“I cristiani devono essere capaci di seminare,senza attendere il frutto e
perfino contro ogni logica aspettativa”(4).
Stupefacente,poi, questo lapidaria dichiarazione dell’Autore:
“Noi crediamo in questa chiesa”.
E’ il grido di gioia dell’assetato che arriva alla fonte d’acqua,è il peana
della vittoria del valoroso soldato che ha vinto il nemico.
A questo punto del saggio,Iacolare inizia la tematizzazione del “problema
della secolarizzazione”che,indubbiamente, esige – per dirla con Hegel - la
“fatica del concetto” ed è riservato agli “addetti ai lavori”.

                                                                                                                     
(Continua).
                                                         Note

(1)Cfr K.Rahner-H.Vorgrimler,Dizionario di teologia,Herder-Morcelliana,
Brescia
     1968,pp.676-677.
(2)K.Barth,L’Epistola ai Romani,Feltrinelli,Milano 1962,p.12.
(3)Cfr H.Kung,Essere cristiani,Mondadori,Milano 1990,pp.400
(4)Citato in Discepoli di Verità,Povero Cristo,Ed.Kaos,Milano 2009,p.144-145.
(5)B.Forte,Gesù di Nazaret,storia di Dio,Dio della storia,Ediz.paoline,Roma
    1981,p.302.



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