Francesca e gli altri: di Alessandra Iannone.

Pubblicato il da Iacolare Francesco Saverio

La struttura dell’opera si articola in tre momenti. L’aspetto umano e il dramma della morte. L’aspetto economico, cioè  la grande ricchezza sottratta allo stato, e la connivenza tra mafia e istituzioni. L’opera si è fatta leggere in modo scorrevole e coinvolgente, in essa v’è una tensione che ti impedisce di fermarti, dovuta questa ai fatti, agli episodi intrecciati in maniera tale da sembrare un giallo. La lettura del romanzo di Alessandra mi ha lasciato molto pensoso, non tanto per lo svolgersi di una  storia di malaffare descritta  con cura , quanto per la involontaria e tragica fine del personaggio. L’intreccio delle situazioni,  la fine del protagonista, mi hanno indotto a considerare l’aspetto spirituale, di cui si sente tanto bisogno ma che  gli eventi del nostro tempo lo pongono negletto. E’ vero che queste storie, nel loro accadimento, hanno quasi sempre una tragica fine, tuttavia, vista la giovane età di Alessandra, dalla sua  storia romanzata  ci si poteva  aspettare  una dimensione di ottimismo e non una conclusione così violenta, da ciò il mio essere pensoso circa l’idea che Il bene non è solamente l’opposto del male, ma è esperienza positiva del male dal quale viene il bene. Il male bisogna esperirlo, senza questa conoscenza non potremmo mai operare il bene.  Sappiamo che    vi sono delle occasioni nell’esistenza umana  che vanno oltre la normalità per cercare altro , pur non avendo impegni,  in questa ricerca, il personaggio di Alessandra  vede la sua vita sovvertita dalla ricchezza non legata al lavoro. Il romanzo  ci racconta  la parabola dell’esistenza di un uomo  che per lungo tempo  non ha dato senso alla sua vita, pur avendo coltivato un grande bagaglio di cultura contadina, che va dalla lettura degli agenti atmosferici, alla cura delle piante,  all’amore per la loro guarigione. Una sensibilità non apprezzata  ma considerata una sorte di eredità lasciatagli dal padre, il tutto racchiuso in un patrimonio etico atavico,  che,   non è servito come difesa contro l’unica occasione negativa nel suo percorso esistenziale. Un percorso durante il quale al contadino è mancato il conforto di una riflessione escatologica della fede, la sua è stata una credenza in una religione orizzontale, dal sapore  paganeggiante, , certamente però non era né uomo di fede , né di vangelo. La sua esistenza si perde nella mancata continuazione di una dimensione affettiva, lasciandosi fagocitare dall’altrui volontà. Tuttavia, quest’uomo, ha in sé delle risorse morali asettiche in quanto non si era mai misurato con se stesso, cercando di dare un senso condiviso alla sua esistenza. Purtroppo, in un famoso pomeriggio di un  settembre senza tempo, la cui cattiveria continua nel nostro tempo un individuo, che nulla ha della persona, (l’individuo attiene più alla contingenza che alla spiritualità) riduce il povero contadino ad essere anche egli  individuo che, comunque, conserva, inconsapevolmente, il suo essere persona.    Il contadino ritrova in quelle risorse morali “nascoste”,  di cui si diceva prima, una cultura verticale, ma  non ha la coscienza di questa ricchezza, infatti, questa verrà fuori quando sarà un uomo ricco e disperato. Una ricchezza che comincia ad essere un tragico peso per la sua coscienza, tanto che vorrebbe disfarsene pur di riavere la vita di prima. Una coscienza che gli era stata rubata  quando il geometra, durante una trattativa, notando la sua incertezza aveva detto che gli amici con cui trattava gli affari non erano camorristi, ma persone perbene . L’individuo alzò il prezzo e il povero contadino si convinse che tutti erano perbene, forse anche onesti. I’ uomo pensava  di riscattare una vita di sacrifici e di lavoro convincendosi che stava nel giusto, provvedendo al bene della famiglia. Il povero disgraziato non conosceva la differenza tra l’utile e il bene, mettendo in atto il principio protagoreo, “ L’uomo misura di tutte le cose………..” Non arriverà mai a questo tipo di riflessione, purtroppo lui viveva di riflesso, circondato da individui senza scrupoli, forti psicologicamente con i deboli, lui era un debole. Aveva  accettato enorme ricchezze cedendo i suoi terreni che, da fonte  di salute e lavoro, vengono trasformati in pattumiera di morte, l’inquinamento sarà causa della scomparsa di Francesca. Comincia a rendersi conto di essere stato usato, in modo particolare nel tentativo di far curare la nipotina. Il contadino rievocava nella sua mente le lunghe ore trascorse dal balcone della sua camera ,con il binocolo, per osservare la bambina mentre cresceva felice. L’affronto della sorella Maria, è una drammatica accusa a tutti gli inquinatori assassini, lui  era uno di questi. Qui una prima riflessione porta a considerare che  il messaggio che si coglie non è quello di un  giudice che condanna, perchè  non andrà mai davanti ad esso, solo la sorella condanna, né quello della ipocrita società buonista che assolve. Il messaggio, purtroppo, è quello  di  una falsa società malata che continua la mattanza di Caino.  Il suo divenire tragico vive la dimensione di colui che ha già realizzato il proprio suicidio morale. Questa consapevolezza lo pone di fronte alla saggia decisione della denuncia della sua inutile vita, cercando di rivolgersi alla giustizia per riparare al male commesso. “Io devo pagare un debito” dirà alla persona che gli sta di fronte, in una convinzione sacrificale, senza riserve, credendo di lavare  la  morte della nipote dirà : “ La mia fine, la mia morte è il migliore epilogo di questa brutta storia”.  Affermazione che si trova alla fine  del romanzo. Non si trovava davanti ad un uomo di giustizia, come lui credeva, ma ad un volgare individuo della perversione. Qui è necessaria una sospensione di giudizio, ovvero una messa in epochè. Questo mi rimanda alla dimensione della catarsi quale momento di purificazione. La cultura verticale , si evince in questa  tragica bella storia allorchè   il contadino viene rapito dallo struggente amore per la piccola Francesca vestita di sapienza quando dava coraggio alla madre dicendole di non soffrire per lei. Questa sapienza di Francesca ha scavato in lui la riserva di morale, come ripensamento della sua esistenza fino al sacrificio di sé. Qui mi sovviene una seconda riflessione, cioè come non poter fare l’ipotesi che la religiosità paganeggiante del contadino, a dimensione orizzontale, avendo rivolto lo sguardo verso il cielo non abbia trovato quella pace agognata visto che si era liberato dalla paura e che abbia incontrato la fede?  Paradossalmente, la sofferenza e la morte di Francesca rappresentano una nemesi storica che purifica una esistenza di peccati nel nome dell’amore dello zio per la nipote. Come non pensare alla sofferenza di Lucia, nella famosa notte dell’Innominato, quando gli si rivolge dicendo:”Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”. La sofferenza di Lucia fu un lavacro miracoloso per l’innominato, una nemesi purificatrice dovuta alla sofferenza di un innocente, così la sofferenza di Francesca è stata lavacro per lo zio peccatore Questa considerazione la derivo dall’esistenza del patrimonio spirituale della chiesa formato dalla sofferenza e dalle morti degli innocenti di tutti i tempi. Da questo immenso patrimonio attingono i peccatori pentiti per ottenere la Grazia per la loro salvezza. In virtù di tale considerazione, le sofferenze e le morti  degli innocenti riscattano l’uomo pentito dal peccato, pertanto mai nessuna sofferenza deve essere considerata inutile.  Il romanzo ci espone una denuncia  esplicita, onesta, forse avrebbe meritato un epilogo di speranza profetica nel senso che il contadino, tornando indietro,  non avrebbe trovato  la conclusione del suo esserci sul selciato, dopo che il tentativo di salutare la Madonna era fallito avendo trovato il portone della chiesa chiuso. Mi chiedo: se quel portone fosse stato aperto e lui avrebbe salutato la Madonna, come era sua intenzione, quale sarebbe stato l’epilogo della storia?   Molto probabilmente il contadino avrebbe subito una metamorfosi di maturità e sarebbe stato più testimone da vivo che disprezzato da morto.   Credo che anche questo possa considerarsi profezia , cioè la capacità non di guardare presbitamente lontano, ma testimoniare con la forza dello spirito il tempo presente modificandolo per il bene altrui. Il mio auspicio per te Alessandra e che tu possa continuare  e coltivare, con la testimonianza, il coraggio e l’onestà che hai mostrato in “Francesca e gli altri”

                                        Francesco Saverio Iacolare                                  

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